Ai suoi esordi la collezione della Biblioteca, nata intorno al 1890 come biblioteca circolante per il personale delle scuole e degli uffici dipendenti dal Municipio, consta di un nucleo composto da circa 10.000 volumi provenienti dai lasciti di cittadini studiosi - tra i quali l’avvocato Aldo Noseda, il sacerdote Luigi Albuzzi e il professore Emilio Penci - dalle opere in origine disseminate presso i vari uffici e le direzioni scolastiche e dai volumi dei soppressi Corpi Santi.
Nei primi anni del Novecento il patrimonio si arricchisce grazie a donazioni e disposizioni testamentarie di noti studiosi e mecenati milanesi. Tra le donazioni degne di nota figurano:
La natura eterogenea del patrimonio della Biblioteca alimentò diffidenze, polemiche e un vivace dibattito tra gli intellettuali e gli esponenti di spicco della politica milanese e vide schierati da una parte Giuseppe Fumagalli (allora direttore della Biblioteca Nazionale Braidense), il socialista Giuseppe Ricchieri, il liberale Stefano Jacini e, primo fra tutti, il socialista Filippo Turati, favorevoli allo smantellamento e smembramento di quella che veniva definita biblioteca “omnibus” e del tutto inadatta a rispondere ai compiti di una biblioteca civica e a competere con la veneranda Ambrosiana e la ricca Braidense.
Il direttore della Braidense intervenne nell’adunanza del 21 gennaio del 1906 del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere per sostenere che, svolgendo già la Nazionale il ruolo di biblioteca pubblica di carattere generale, era inopportuno che l’Amministrazione creasse “senza necessità nuovi istituti, di indirizzo non ben determinato, di utilità dubbia, di posizione incerta”.
A distanza di alcuni anni, così ebbe a dichiarare Filippo Turati nella seduta del Consiglio Comunale del 25 gennaio del 1912:
Quel minestrone di libri che oggi forma la Biblioteca Civica Circolante è un museo librario che non serve proprio a nulla, nemmeno a fare alle Biblioteche popolari una sleale concorrenza.
Sull’altro fronte, che finì poi col prevalere, alcuni esponenti politici locali, tra cui Bassano Gabba, Michele Scherillo, Emanuele Greppi, Luigi Mangiagalli e Giuseppe Gallavresi, sostennero invece l’utilità di una grande biblioteca di carattere generale volta a soddisfare le esigenze di tutti e non solo di una minoranza di studiosi e portarono l'Amministrazione comunale ad aumentare progressivamente gli investimenti a suo favore.
Nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale il patrimonio della Biblioteca raggiunse 300.000 volumi a seguito di ulteriori donazioni:
Nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1943 504 bombardieri inglesi, scaricando sulla città 2.000 tonnellate di bombe, distrussero l’ala del Castello Sforzesco dove risiedeva la Biblioteca. Andò in fumo tutto il patrimonio con oltre 300.000 volumi e opuscoli, andarono distrutti tutti gli schedari, l’arredamento delle sale e dei depositi, gli impianti e l’intero edificio, si salvarono miracolosamente solo i periodici.
Un funzionario della Biblioteca, Ugo Piovacari Utili, così testimonia quei momenti.
Tra vampate di fuoco e scoppi di bombe, in una sola notte si incenerì dell’Istituto tanto caro ai milanesi colti e studiosi l’intero arredamento e la consistenza libraria (eccettuato qualche centinaio di opere) […] Salve per miracolo le pubblicazioni periodiche, esse furono la ceppata sulla quale poté allignare, lentamente e a piccoli germogli, la nuova Biblioteca”. L’allora Direttore Squassi "accasciato sotto il peso della sventura e oppresso dall’angoscia conseguente all’incenerimento della Biblioteca alla quale per trent’anni aveva dato tutto se stesso, appena cessate le ostilità e mentre ci si apprestava a iniziare la ricostruzione, preferì chiedere il collocamento in aspettativa e poi in pensione, sperando, andandosene, di trovare un lenimento al cocente dolore".
Già dall’ottobre del 1943 la Biblioteca veniva riaperta al pubblico limitatamente ai locali dell’emeroteca non danneggiata e dal 1945 si avviò una fase di rinascita e ripartirono le acquisizioni librarie, alle quali diedero un significativo apporto e impulso i doni provenienti da privati cittadini, da librerie e case editrici, accademie e università, enti culturali e di credito. A testimonianza della stima che l’istituzione aveva raccolto e della volontà comune che essa riprendesse a operare per la collettività.
Scriveva il direttore Giovanni Bellini:
Sono di questi anni i doni cospicui di Emma Conti Capelloni, della signora Sutermeister […], di Maurizio Cogliati, bibliotecario e bibliofilo, degli editori Antonio Vallardi, Carlo Signorelli, Giovanni Scheiwiller; delle case musicali Carisch, Ricordi, Sonzogno, Curci, Suvini e Zerboni; i lasciti di Giuseppe Bonelli, di Ferruccio Pesenti, di Leone Pretto; le donazioni di Emilia, Teresa e Luigi Curti in onore del padre Antonio Curti, storico e pubblicista, dell’avvocato Antonio Valentini in memoria della figliola Marichette, contessa di Cossato.
Quando la Biblioteca riaprì nel 1956 nella nuova sede a Palazzo Sormani contava un patrimonio di 330.000 volumi, più di quanti ne fossero andati distrutti nei bombardamenti.
Giovanni Bellini la volle organizzare recependo gli indirizzi più innovativi del dibattito biblioteconomico dell’epoca per offrire alla città una biblioteca di informazione, non di conservazione: una struttura aperta a tutti, agile nei servizi, accurata nella documentazione, “la casa dei milanesi studiosi”, dove ciascuno potesse approfondire i propri interessi e trovare supporto per lo studio e la ricerca.
Cominciava la seconda grande stagione della liberalità, quella che avrebbe consentito alla Biblioteca di annoverare nel proprio patrimonio materiali di grande rilievo. Si ricordano in particolare: