La Sezione Manoscritti della Biblioteca conserva gli archivi di alcuni personaggi del mondo della cultura milanese del Novecento, giunti per lo più negli anni '50 e '60 e caratterizzati dalla presenza di testi letterari e carteggi, documenti personali, ritagli di giornale, fascicoli di rivista e materiale iconografico vario.
A questi si sono aggiunti nel tempo manoscritti, dattiloscritti e lettere di varia provenienza, donati da privati cittadini o acquistati dalla stessa Biblioteca a integrazione delle raccolte già esistenti.
Fa parte della Sezione anche il Centro Stendhaliano che comprende due ricche raccolte di materiali legati allo scrittore francese Marie-Henri Beyle (alias Stendhal) giunte in Biblioteca negli anni '70: il Fondo Stendhaliano Bucci e la Raccolta Stendhaliana Pincherle.
È un fondo in cui confluiscono lettere di diversa provenienza. Si tratta di carteggi del Novecento che vanno a integrare gli epistolari degli archivi già presenti.
Si segnalano in particolare i recenti acquisti di lettere a Paolo Buzzi da Ada Negri (1870-1945) e da altri personaggi.
È un fondo in cui confluiscono manoscritti, dattiloscritti e lettere di epoche diverse e di diversa provenienza.
Tra gli esemplari conservati, si segnalano in particolare:
È un fondo “virtuale” in cui viene segnalata la presenza sui volumi a stampa di due particolari tipologie di documenti: la dedica autografa, significativa espressione della cultura del Novecento, e la postilla.
Tra le dediche si segnalano quelle di Gian Pietro Lucini, Filippo Tommaso Marinetti, Francesco Balilla Pratella, Emilio Salgari, Margherita Sarfatti, Filippo Turati e Delio Tessa, oltre alle 640 dediche di autori italiani e stranieri presenti sui volumi della biblioteca del poeta Eugenio Montale (1896-1981), donata nel 1982 dalla nipote Bianca.
Si segnalano inoltre i 15 volumi dell'Archivio Glottologico Italiano con le postille autografe di Graziadio Isaia Ascoli e alcune lettere a lui indirizzate. I fascicoli di questa rivista sono una delle poche testimonianze del Fondo Ascoli - donato nel 1908 alla Biblioteca Civica - sopravvissute ai bombardamenti dell’agosto del 1943.
Roberto Aloi (Palermo, 1897 - Berzo S. Fermo, Bergamo, 1981)
Palermitano di nascita e milanese di adozione, Roberto Aloi fu un personaggio poliedrico, che si avvicinò all’arte con la sola “pratica del mestiere […]” (Scheiwiller 1987). Esordì come artista nel 1918 con la sua prima mostra personale, organizzata a Ravenna grazie all’incoraggiamento di Corrado Ricci, Santino Muratori e Diego Valeri. Due anni più tardi si trasferì a Milano, dove entrò a far parte dei “baguttiani” (1927) e dove cominciò a prendere parte attiva al movimento artistico nazionale, partecipando con le sue opere alle Biennali di Venezia (1936,1938,1940,1950), alle Quadriennali di Roma e a numerose esposizioni estere.
Artista versatile e poliedrico, Aloi sperimentava tutte le tecniche e trattava i soggetti più vari, dalle nature morte alle architetture, dai paesaggi ai ritratti, e realizzava opere per diverse tipologie di committenze (chiese, edifici pubblici, turbonavi). Contemporaneamente si dedicava anche a un’intensa attività editoriale: nel 1934 pubblicò con Ulrico Hoepli il primo di una serie di volumi dal titolo “L’arredamento moderno”, che ancora oggi rappresenta una delle più complete raccolte iconografiche delle tendenze dell’architettura, dell’arredamento e dell’arte decorativa di quegli anni. Per la stessa casa editrice, nel dopoguerra curò la collana “Esempi”, che aveva lo scopo di soddisfare le esigenze e le curiosità di specialisti e neofiti intorno al mondo dell’architettura contemporanea.
Sempre negli anni Trenta, Aloi cominciò a metter mano insieme a Giovanni Scheiwiller alla compilazione di un Dizionario illustrato di pittori, scultori e incisori italiani moderni. Il progetto prevedeva un’indagine accurata all’interno dei repertori bibliografici esistenti, ma anche, e soprattutto, l’integrazione di quei dati grazie al coinvolgimento diretto degli artisti: era stato creato, quindi, un “Modulo per inserzione gratuita” in cui gli artisti dovevano inserire dati anagrafici, curriculum vitae, tecniche utilizzate, premi ottenuti, mostre personali, riproduzioni autentiche delle firme usate, eventuali fotografie d'autoritratto o, come si legge, "fotografia di ritratto fattovi da altro artista".
Ad Aloi arrivarono in risposta centinaia di lettere, esemplari di firme autografe, ritratti, riproduzioni di opere: tutto questo veniva accuratamente archiviato e conservato.
Le difficoltà del lavoro tuttavia erano immense: dapprima la guerra che portava disservizi postali e mancanza di mezzi fotografici ed economici degli artisti, che non riuscivano perciò ad ottenere dignitose riproduzioni delle proprie opere, poi l'incendio dello studio milanese di Aloi (14 febbraio 1943) che distrusse buona parte del materiale raccolto e della sua produzione artistica. Di fatto, intorno alla metà degli anni Cinquanta, l'editore Hoepli finì per considerare non più realizzabile il progetto, quando già erano state tirate le prime bozze di stampa della parte relativa agli scultori.
Nonostante la mancata pubblicazione, l'archivio costituisce una straordinaria fotografia della produzione artistica italiana del primo Novecento e una raccolta di documenti unici, spesso autografi, non solo degli artisti più importanti, ma anche dei cosiddetti “minori”, offrendo un panorama disomogeneo ma completo del periodo.
Aloi lavorò con costanza fino all’ultimo giorno di vita morendo improvvisamente il 26 giugno 1981 a Berzo S.Fermo (Bergamo) nel giardino della sua casa-studio.
Nel 1983 Eugenia Cantù Aloi donò alla Biblioteca Comunale di Milano le decine di faldoni di documenti bibliografici e iconografici raccolti e organizzati dal marito in oltre 10.000 buste (una per ogni artista), perché fossero messi a disposizione di studiosi e curiosi.
L'archivio venne presentato al pubblico nel 1987 con una mostra a Palazzo Sormani e, accuratamente inventariato su supporto cartaceo, è attualmente a disposizione del pubblico e degli studiosi presso la Sezione Manoscritti della Biblioteca.
Paolo Buzzi (Milano 1874-1956) fu poeta, scrittore, drammaturgo, storiografo e giornalista.
Conseguita la laurea in giurisprudenza, intraprese la carriera amministrativa e ricoprì la carica di Segretario generale della Provincia di Milano fino al 1935. Esordì come scrittore nel 1898 con Rapsodie leopardiane, una raccolta di componimenti che risentiva ancora del classicismo carducciano e leopardiano. Nel 1905 vinse il concorso bandito sul primo numero della rivista “Poesia” di Filippo Tommaso Marinetti e Sem Benelli e nello stesso anno pubblicò il romanzo L’esilio, che descriveva la crisi spirituale attraversata in quegli anni dalla borghesia milanese. Fu tra i primi a firmare con Marinetti il Manifesto del movimento futurista (1909).
Il desiderio di rompere con i canoni espressivi del passato, supportato da una grande conoscenza della metrica e da una forte passione per la musica, lo portarono a dedicarsi alla ricerca di un’espressione poetica libera che si concretizzò nei Versi liberi (1913) e nelle prime tavole parolibere, diventando una personalità di riferimento per il Movimento futurista.
Accanto alla notevole produzione letteraria di Paolo Buzzi (poetica, narrativa e drammaturgica), si segnala anche quella di carattere storiografico e celebrativo (Il carme di Re Umberto, 1901; La poesia di Garibaldi, 1919; Carmi degli Augusti e dei Consolari, 1920), oltre a un’intensa collaborazione con riviste e quotidiani: “Italia futurista”, “La Sera”, “Il Popolo d’Italia”, “L’Ambrosiano”, “Il Giornale di Genova”, “Il Resto del Carlino”, “Balza Futurista”. Fu infine tra i fondatori di “Roma futurista” e, nel 1920, del giornale “Testa di ferro”.
Nel 1956, dopo la scomparsa del marito, Maria Carloni Buzzi destinò alla Biblioteca il ricchissimo archivio di Paolo Buzzi relativo al periodo 1927-1956: stesure manoscritte e dattiloscritte delle sue opere, ritagli di stampa riferiti alla sua prolifica attività giornalistica, recensioni, appunti, documenti personali della famiglia e, di straordinario interesse, l’ampio carteggio (circa 1700 lettere) con personalità del mondo della cultura della prima metà del Novecento. Insieme al Fondo, furono donati anche un busto di bronzo di Paolo Buzzi, opera dello scultore Enrico Pancera, e un pianoforte a coda.
A integrazione del Fondo, nel 2002 e nel 2007, Luigi Maria Guicciardi ha donato lettere, manoscritti e dattiloscritti di Paolo Buzzi raccolti dal padre Emilio (1896-1974), poeta dialettale milanese e amico di Buzzi, che sono andati a costituire il Fondo Addenda Paolo Buzzi.
Arrigo Cajumi (Torino 1899 – Milano 1955) fu un giornalista, uno scrittore e un critico letterario torinese.
Conseguito il diploma di ragioneria nel 1918, ottenne successivamente l’abilitazione all’insegnamento del francese, titolo che in effetti non utilizzò mai. Cajumi aveva invece una spiccata vocazione per il giornalismo, che lo portò a collaborare per “La Stampa”, allora diretta da Luigi Salvatorelli (1921-1928). In quegli stessi anni conobbe Luigi Ambrosini, divenendone amico devoto, collaborò con Piero Gobetti alla redazione della “Rivoluzione liberale” e del “Baretti” e, dal 1925, fu inviato da “La Stampa” all’estero, prima in Inghilterra, poi a Parigi e infine a Ginevra.
Fondamentale nella sua biografia fu l’incontro con Cesare De Lollis e l’introduzione nell’ambiente della rivista “La Cultura”, della quale fu, negli anni 1934-35, uno degli esponenti più autorevoli. Nell’aprile 1935 le autorità di regime decretarono la chiusura della rivista, subito dopo aver provveduto ad arrestarne i redattori, tra i quali Cajumi e Giulio Einaudi. Per quasi 11 anni Cajumi fu costretto al silenzio e perseguitato politicamente, ma non abbandonò mai la sua attività letteraria: tutti gli scritti di questi anni furono poi raccolti nei “Pensieri di un libertino”, pubblicati la prima volta a Milano nel 1947 (ma mutilati dall’editore), la seconda nel 1950, aumentati, riveduti e corretti secondo le indicazioni di Salvatorelli e Praz. Nella sua edizione definitiva, il libro, che si presenta come una sorta di zibaldone, è articolato in 11 parti, una per ogni anno di silenzio cui fu costretto lo scrittore.
Contemporaneamente, nel secondo dopoguerra, collaborò con “La nuova Europa”, “Lo Stato moderno”, “Il Mondo” e l’“Illustrazione italiana”, lavorò presso la casa editrice Bemporad a Firenze, poi presso Treves a Milano. Entrò infine nel mondo industriale e operò in questo settore fino alla morte.
La pluralità degli interessi fece spaziare l’attività di Cajumi dalla critica letteraria a quella teatrale, agli studi storici e politici, al pamphlet e alla biografia e gli fece tessere rapporti con numerosi esponenti del mondo culturale del primo Novecento.
Nel 1974, Adele De Silvestri (Antonietta), vedova di Arrigo Cajumi, destinò con lascito testamentario tutto l’archivio e la biblioteca del marito alla Sormani: la ricca collezione libraria (circa 6000 volumi) fu immediatamentcie catalogata e inserita nelle varie sezioni del patrimonio della Biblioteca; il voluminoso archivio manoscritto, invece, da allora risulta collocato nella sua interezza presso la Sezione Manoscritti della Biblioteca. L’archivio, attualmente in corso di catalogazione, è composto da: 6 faldoni contenenti stesure preparatorie ed edizioni dei saggi e degli articoli di Arrigo Cajumi, che documentano la versatilità della sua attività letteraria e giornalistica; 4532 lettere con alcuni tra i principali esponenti del panorama culturale europeo della prima metà del secolo scorso; 4 faldoni contenenti numerosi documenti di carattere personale e amministrativo.
Giuseppe Cartella Gelardi (Messina 1885 - Milano 1962), fu uno scrittore.
Dipendente dell’Amministrazione delle Imposte, si dedicò contemporaneamente agli studi umanistici creandosi col tempo, da autodidatta, una educazione classica. Nel 1912 si stabilì a Piacenza dove, accanto all’impiego, si dedicò all’insegnamento di materie tributarie. Intorno al 1913 conobbe il poeta Virgilio Garea, il "fedelissimo amico primevo", e ne frequentò la casa a Varazze, dove più volte fu ospitato anche Gian Pietro Lucini: qui venne in contatto con Enrico Cardile, con il poeta armeno Hrand Nazariantz e con lo scrittore e storico Terenzio Grandi, poi fondatore e direttore della casa editrice "L'Impronta" di Torino.
Nel 1917 si trasferì a Milano, dove insegnò alla scuola Cavalli e Conti materie giuridico-sociali e tributarie e dove collaborò a giornali e riviste, esercitando anche la libera professione di commercialista. Conobbe in questi anni il pittore Carlo Paolo Agazzi e lo scultore Achille Alberti (al quale dedicherà una biografia critica, - Torino, 1932); si legò inoltre di duratura amicizia con Paolo Buzzi ed ebbe una corrispondenza epistolare con il poeta Vincenzo Gerace. Collaborò inoltre con numerosi giornali e riviste.
Dopo la sua morte, Il 12 settembre 1963 la moglie Giulia Mattioli donò alla Biblioteca l’archivio di Giuseppe Cartella Gelardi: manoscritti inediti, appunti, disegni, ritagli e cliché di stampa, copie dattiloscritte di lettere inviate da Gelardi negli anni tra il 1942 e il 1961 e 4 volumi contenenti oltre 2500 lettere, ordinate cronologicamente, inviate da numerosi corrispondenti a Giuseppe Cartella Gelardi e ad alcuni membri della sua famiglia. Con il materiale di archivio, venne donata anche una testa di bronzo di Cartella Gelardi, opera dello scultore Achille Alberti.
Il conte Alessandro Casati (Milano 1881 - Arcore, Milano, 1955), nipote di Gabrio e Camillo Casati, figlio di Gian Alfonso (1854-1890) e di Luisa Negroni Prati Morosini (1857-1927), fu un politico e un letterato, appassionato cultore di studi storici.
Fondò la rivista modernista “Il Rinnovamento” e fu tra i sostenitori di “Leonardo” e de “La Voce”. Interventista nella Prima guerra mondiale, tenente colonnello per merito di guerra, nel 1923 venne nominato senatore; fu chiamato da Giovanni Gentile ad assumere la presidenza del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e per un anno ricoprì la carica di ministro della Pubblica Istruzione succedendo allo stesso Gentile (1924-1925).
Ben presto prese le distanze dal Fascismo, allontanandosi così dalla vita pubblica. Risalgono a quegli anni i suoi lavori storico-eruditi.
Nel 1931 pubblicò sull’“Archivio storico lombardo” il saggio su Giuseppe Gorani e la Guerra dei sette anni; seguì poi la pubblicazione delle Memorie di G. Gorani (Milano, 1936-1942, 3 v.).
Riprese l'attività politica nel 1943, come rappresentante del Partito Liberale nel Comitato di Liberazione nazionale e, poi, come ministro della guerra nei due governi presieduti da Ivanoe Bonomi (1944-1945). Dopo il 1945 fu Presidente del Consiglio supremo della difesa e Presidente della Delegazione italiana all'Unesco.
Eletto senatore nella I Legislatura (1948), fu membro del consiglio direttivo dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, presidente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, della Società Dante Alighieri, della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dell’Associazione Italiana Biblioteche (dal 1951 al 1954) e infine della Società Storica Lombarda (dal 1952 al 1955).
Il suo unico figlio Alfonso, nato a Milano nel 1918 dal matrimonio con Leopolda Incisa della Rocchetta (1873-1960), arruolatosi nel Corpo italiano di liberazione, morì in combattimento sul fronte adriatico, presso Iesi, il 6 agosto 1944. Alessandro Casati morì nella sua villa San Martino ad Arcore il 5 giugno 1955 e fu sepolto nel Mausoleo Casati Stampa di Soncino, nel cimitero di Muggiò (Monza e Brianza).
La moglie affidò le carte di Alessandro Casati al nipote Giovanni Incisa della Rocchetta, che le donò nel 1965 alla Biblioteca Ambrosiana, mentre destinò quelle di Teresa Casati e Federico Confalonieri, su indicazione dello stesso Casati, al Museo del Risorgimento di Milano.
Con l’importante raccolta bibliografica di Alessandro Casati, destinata per lascito testamentario dalla moglie Leopolda Incisa della Rocchetta ad una istituzione pubblica e donata, nel settembre 1960, dal nipote marchese Giovanni Incisa della Rocchetta alla Biblioteca, sono pervenuti anche alcuni materiali autografi di diversi componenti della famiglia Casati: Beatrice Barbiano di Belgiojoso d’Este (1794-1871) e suo marito Giovanni Giorgio Giulini della Porta (?-1849), Gabrio Casati (1798-1873), Angelo Casati (1802-1846), Luigi Agostino Casati (1827-1881), Emma Lomellini Tabarca (?-1858), Antonio Casati (1828-1857), Beatrice Casati (1841-?), Rinaldo Casati (1844-1898), Agostino Casati (1847-?), Giorgio Casati (1848-?) e infine Alessandro Casati (1881-1955). Si segnalano, tra i documenti, la domanda di Gabrio Casati e della sua famiglia per ottenere il proscioglimento della cittadinanza austriaca e poter emigrare, il sequestro della sostanza del profugo politico Gabrio e il relativo carteggio con la Commissione dei sequestri delle sostanze dei profughi politici, l’assegnazione di pensioni a dipendenti della famiglia Casati a carico delle sostanze sequestrate a Gabrio.
Sono presenti inoltre nel Fondo Manoscritti della Biblioteca 7 autografi contrassegnati dal timbro “Ex libris Sen. Conte Alessandro Casati. Dono Leopolda Incisa della Rocchetta, 1960” e un dattiloscritto (catalogati negli anni 1961-1971).
Francesco Cazzamini Mussi (Milano 1888 - Baveno, Novara, 1952) fu poeta, scrittore e critico letterario.
Figlio di Giuseppe Cazzamini e Barbara Mussi, firmò le sue prime poesie con lo pseudonimo Francesco Margaritis (Canti dell'adolescenza, 1908). Fu legato da amicizia a Marino Moretti, con il quale scrisse anche alcuni poemi drammatici e intorno al quale redasse la prima monografia (Marino Moretti, Vallecchi, 1931). Fu recensore e autore di libri d'avventura.
Tradusse per Rizzoli le Novelle comiche di Maupassant (1936) e i Ricordi di Marco Aurelio (1943), sulla seconda edizione di Stich. Si segnala in tempi recenti la ristampa di Omagg a Meneghin, una raccolta di suoi versi in dialetto milanese (Ledizioni, 2015).
Nel 1958 la Biblioteca acquistò dall’Ospedale di Abbiategrasso, erede di Francesco Cazzamini Mussi, la biblioteca dello scrittore. La raccolta era formata da 25.000 volumi e opuscoli, 112 manoscritti antichi e varie stesure manoscritte dell’autore. Mentre il fondo manoscritti antichi e gli incunaboli venivano ceduti al Civico Archivio Storico e Biblioteca Trivulziana, le opere autografe di Cazzamini (31 manoscritti) venivano destinate al patrimonio della Biblioteca.
Antonio Curti (Milano 1858 - Cannobbio, Novara, 1945) fu commediografo, poeta dialettale, storico, giornalista e pittore.
Espressione di quella borghesia lombarda nata durante il Risorgimento, Curti partecipò alla vita pubblica con l’incarico di Segretario dell’Associazione della Storia del Risorgimento; fu promotore della raccolta di documenti sulla Grande Guerra e organizzatore della prima Esposizione Nazionale Napoleonica, nonché direttore della rivista “Napoleone”, vicepresidente dell’Associazione “Trento e Trieste” e promotore degli “Amici della Polonia”. Nel 1913 promosse un’inchiesta su “Napoleone I nel pensiero italiano” coinvolgendo studiosi e letterati italiani. Studioso eclettico, collaborò con numerose testate, come “Lombardia”, “Perseveranza”, “Il Resto del Carlino”, “Secolo illustrato”, scrivendo di arte, folklore e storia.
Come pittore, infine, prese parte a diverse esposizioni a Brera e alla Permanente. Intrattenne rapporti di amicizia con Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Vespasiano Bignami, Giannino Antona Traversi.
Il Fondo Antonio Curti è composto da manoscritti, ritagli di stampa, appunti, documenti personali, 2200 lettere indirizzate a Curti da diversi corrispondenti nel periodo 1892-1943, circa 220 lettere che riguardano l’inchiesta su Napoleone e infine alcune lettere (1911-1936) di Curti ad altri personaggi. I documenti del Fondo sono suddivisi in due differenti collocazioni che rispecchiano, probabilmente, le diverse provenienze dei documenti: solo una parte di questi, infatti, è stata donata alla Biblioteca dagli eredi (1948).
Luigi Motta (Bussolengo, Verona 1881 - Milano 1955) fu uno scrittore, un commediografo e un giornalista della prima metà del Novecento, autore di numerosi romanzi di avventura e di fantascienza, scritti prevalentemente sulla scia di Emilio Salgari.
Il suo primo romanzo, I flagellatori dell’Oceano (1901), fu scelto in un concorso bandito dall’editore Donath di Genova e da questi pubblicato con un’introduzione di Emilio Salgari, con il quale Luigi Motta instaurò presto un rapporto di amichevole rivalità. A questo romanzo ne fecero seguito molti altri pubblicati con numerosi editori: trasferitosi nei primi anni del Novecento a Milano, iniziò a pubblicare con l’editore Celli e con la Società Editrice Milanese, per la quale diresse “L’Oceano” (1906) e curò la collana “Biblioteca fantastica dei giovani italiani” (1907); passò quindi a Cogliati e infine a Treves (1908-1920). Dopo la morte di Salgari (1911) diede alle stampe anche numerosi romanzi a firma Motta-Salgari, sviluppando le trame lasciate dallo scrittore deceduto. Pubblicò inoltre varie opere assieme al suo collaboratore Calogero Ciancimino, la più famosa delle quali è Il prosciugamento del Mediterraneo (1931), ambientata nel futuro 1956.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu arrestato per aver aiutato un capitano inglese in fuga e venne scarcerato solo alla vigilia del 25 aprile 1945. I ricordi di quel periodo furono raccolti nella sua autobiografia, uno dei suoi ultimi scritti, pubblicata postuma nel 2010 [L. Motta, La Grande Tormenta. Romanzo Autobiografico di un'epoca crudele ed eroica, revisione di Giulio Cesare Zenari, a cura e con una introduzione di Paola Azzolini, postfazione di Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi, Edizioni Alpha Beta Verlag, Merano, 2010].
Il ricco archivio di Luigi Motta è oggi conservato in parte alla Biblioteca Civica di Verona e in parte alla Biblioteca, in seguito alla donazione della moglie Amelia Razza Motta.
I documenti conservati in Biblioteca comprendono appunti, schemi, stesure manoscritte e dattiloscritte, disegni e bozzetti di illustrazioni destinate alle opere del Motta, un album di ritratti fotografici con dedica dei più famosi personaggi dello spettacolo e della cultura italiana della prima metà del Novecento e, infine, un carteggio di circa 300 lettere di diversi corrispondenti inviate al Motta nel periodo 1905-1954.
Leone Rescalli (Pescarolo, Cremona, 1879 - ?) fu un poeta anche dialettale. La sua intera produzione è tutt’ora inedita.
Il Fondo, donato dallo stesso Rescalli agli inizi degli anni Cinquanta, è composto da 13 dattiloscritti.
Alessandro Sormani (Milano 1907-1948) fu genealogista e cultore di storia milanese.
Il Fondo è stato donato negli anni 1959-1960 da Cesare Tamburini, ed è composto da materiale vario: appunti, ritagli di stampa, disegni, fotografie, circa 120 fra lettere e minute scritte da Alessandro Sormani o a lui inviate da vari corrispondenti. Il materiale è relativo al periodo 1930-1947.